Era il 1609, l'anno in cui Galileo Galilei, durante il suo lungo soggiorno padovano (dal 1592 al 1610 insegnava matematica in quella università), compì le osservazioni astronomiche su Giove e i suoi pianeti col rivoluzionario strumento da lui perfezionato a rigore scientifico e finalizzato all'uso astronomico, il cannocchiale. L'anno successivo dette alle stampe le sue scoperte nel «Siderus Nuncius». Un vero scossone senza più ritorno al sistema tolemaico e al dogma della Chiesa cattolica che voleva, pure contro ogni scientifica evidenza, la Terra al centro dell'universo.
Il 2009, Anno internazionale dell'astronomia, celebra i 400 anni di questo momento fondante nella storia della scienza moderna e nella biografia di uno dei massimi scienziati di tutti i tempi, colui che introdusse il metodo scientifico, che fu astronomo, matematico, fisico, ma anche filosofo e tutt'altro che digiuno delle "umane lettere". La Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, che possiede la raccolta quasi integrale degli autografi di Galileo Galilei, propone dal 5 dicembre un viaggio nell'intimità del suo genio, attraverso l'esposizione di una settantina di volumi, fra i più significativi degli oltre quattrocento identificati, appartenuti alla biblioteca dello scienziato. Attenzione, non semplici volumi, se pur di pregio, ma spesso strumenti per le indagini e le polemiche con cui Galileo rispondeva agli attacchi dei tanti nemici. Vergando di sua mano su quelle pagine le note a margine che sovente sono la parola definitiva decretata da Galileo su tanti argomenti. «Queste postille, numerosissime, sono qualcosa di veramente eclatante, rimasto incredibilmente in ombra – racconta Isabella Truci, una delle curatrici dell'esposizione -. Grazie agli studi di Antonio Favaro, curatore dal 1890 al 1909 dell'edizione nazionale delle Opere di Galileo, siamo riusciti a ricostruire, e spesso ad acquisire per la Biblioteca, le opere che furono proprietà di Galileo. Le postille sono state pubblicate dallo stesso Favaro e poco più. Questa mostra ci ha anche offerto l'occasione per far il punto, dopo tanti anni, su questi postillati, su cosa sia autografo e cosa no. C'è infatti un rinato interesse per la letteratura scientifica del Seicento. In tanti vorrebbero un autografo di Galileo, così sul mercato antiquario c'è quasi un fenomeno carsico, dove Galileo appare e misteriosamente sparisce. Ci sono tanti falsi, ma c'è ancora la possibilità di qualche scoperta».
Accanto ai postillati, a cui Ottavio Besomi ha dedicato un fondamentale saggio sotto il profilo linguistico e della vis polemica (basti per tutti il «pezzo d'asinaccio» indirizzato a Orazio Grassi), sono esposte, suddivise in diverse sezioni, le opere di Galileo, compreso il manoscritto del «Siderus Nuncius», un sorprendente autografo di due lezioni tenute dallo scienziato all'Accademia fiorentina sull'«Inferno» di Dante, un ancora più sorprendente suo abbozzo di commedia in dialetto padovano e un componimento poetico scherzoso, sempre per mano di Galileo, in dialetto veneziano. E poi le opere dei discepoli, quelle matematiche (Archimede, Euclide, Girolamo Cardano), astronomiche, naturalmente Copernico e Keplero su tutti, l'astrologia coi libri di Campanella, l'ottica, la meccanica, la musica del padre Vincenzo, i classici, latini come Plauto o Orazio, italiani, oltre a Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, commentati dalla sua mano di scienziato e molto di più. C'è anche una sezione dedicata alle opere filosofiche, e anche qui c'è la sorpresa. «Non è vero, come si pensa correntemente, che Galileo fosse un anti-aristotelico – sottolinea la Truci -. Nella sua biblioteca ci sono più opere di Aristotele che di Platone. Perché Aristotele pone degli interrogativi scientificamente fondamentali, il vuoto, il moto, gli atomi, senza però riuscire a trovare risposte scientificamente coerenti. Galileo ha studiato tantissimo le sue opere e ha scritto dei passi in difesa di Aristotele. Quelli con cui ce l'aveva erano i cosiddetti aristotelici, che lo attaccavano aprioristicamente per le sue scoperte».
Lo sanno tutti, grazie ai tanti zelanti Galileo non si salvò dagli strali dell'Inquisizione. A seguito delle denunce ottuse del frate domenicano di Santa Maria Novella Tommaso Caccini, lo scienziato, al servizio del granduca di Toscana Cosimo II dal 1610, fu costretto, dopo lungo tira-molla, a presentarsi a Roma davanti al Santo Uffizio. Col Granduca che aveva cercato di proteggerlo, anche se con un tanto di troppo, forse, di "real politique", lui stesso, par di capire dai documenti, incredulo del rischio che Galileo correva. Costretto, nel 1633, vecchio e malato, minacciato di tortura, ad abiurare. Condannato ugualmente alla prigione, riuscì alla fine ad ottenere il confino nella sua villa di Arcetri, dove si spense nel 1642.
«Che il Sole sia centro del mondo e imobile di moto locale, è proposizione assurda e falsa in filosofia, e formalmente eretica, per essere espressamente contraria alla Sacra Scrittura;
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